Alzi la mano (lo so, non posso vedervi!) chi di voi conosce Alfredo Bonazzi: credo che sarete davvero in pochi ad aver letto i suoi versi – fa eccezione chi ha conversato in privato col sottoscritto – eppure stiamo parlando di un poeta dalla storia unica e dalle capacità descrittive sicuramente fuori dall’ordinario.
È triste constatare come di Bonazzi non si trovi quasi nulla: né online e neanche in libreria. Di lui circolano solo le solite 2-3 poesie – incorporate in qualche articolo giornalistico che riguarda la sua recente morte – e allora, dopo aver acquistato la raccolta L’Ergastolo Azzurro (non esiste ristampa posteriore ai primi anni ’70: l’ho trovata su ebay in edizione originale del 1971 a pochi euro!), voglio incuriosirvi un po’.
Alfredo Bonazzi nasce ad Atripalda (Avellino) nel 1929 e diventa poeta in carcere: sì, era un assassino. Dopo infanzia e adolescenza difficili (una scheggia di proiettile gli fece saltare una parte di cervello) nel 1960 aveva ucciso d’impeto l’anziano proprietario di una tabaccheria durante un furto. Da quell’arresto trascorsero anni, e Bonazzi iniziò a condensare in versi tutta la sua inquietudine, il pentimento per il suo passato. Inizia a vincere concorsi di poesia uno dietro l’altro (solo nel 1970 vinse ben sedici premi), e il suo diventò un caso nazionale a cui si interessò anche l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Fu quest’ultimo, infine, a concedergli la grazia nel 1973 per meriti letterari, e tale decisione non fu ostacolata neanche dalla figlia dell’unica vittima di Bonazzi, la quale si rese conto del profondo cambiamento di quell’uomo, e ne accolse con serenità la liberazione.
Andando ai versi, non copierò per intero le sue poesie ma le citerò “a sprazzi”.
Vorrei iniziare con quella che è forse la sua poesia più celebre, Il Frantoio delle Ore, che così conclude, descrivendo in maniera vivida la realtà plumbea e la vita larvale del carcere:
Veterano del “vuoto profondo”
ho cuore di cosmonauta
e radar d’amore
al posto degli occhi:
vado captando i pensieri
l’agonia e il pianto
del compagno inquieto.
Chiuso a chiave, riascolto
nel frantoio delle ore
le voci deluse della speranza
e l’eco dei tanti messaggi spenti.
Già in questi versi si evidenzia una delle caratteristiche della poetica di Bonazzi: il tono intimista non si richiude su se stesso, ma strappa letteralmente immagini da dimensioni diverse (il cosmonauta, il frantoio etc.), quasi a crestare quel grigio di colori (seppur malinconici) che vanno a decorare la sua poesia da “cronista dell’anima”. Geniale risulta a mio avviso l’utilizzo della preposizione semplice “di”, che ha sicuramente influenzato anche la mia scrittura poetica. La poesia Anima Ergastolana, ad esempio, conclude:
Eredi del silenzio
non dovremmo più parlare,
ma abbiamo inquieti occhi di papavero
e una danza di sole antico
nel buio rabbioso
dell’anima ergastolana
Altro elemento presente è la sovrapposizione di piani spazio-temporali diversi. Ad esempio, in La Strada non è più quella (come detto, a parte un paio, non troverete online queste poesie e non esistono ristampe posteriori ai primi anni ’70), si inizia con
All’Ergastolo
abbiamo imparato a vivere
fuori dai calendari e ora
la strada non è più quella.
E si termina con
Nel respiro dei sarcofaghi
restano i giorni
fantasmi controluce
in un evolversi
che sbiadisce nel tempo
insabbiate giovinezze
Ancora, in All’Acquario Azzurro, i sorrisi diventano “affondati”. L’Acquario è ovviamente la prigione, che viene percepita come un continuo annegamento, un vivere sott’acqua
Sofisticati –
piccoli piccoli piccoli
fosforescenti di sorrisi
affondati
i bigliettini gentili
sembrano adolescenti imbronciati.
Tra essi, uno solo
pare chiedere perdono
al cuore del pesce randagio
Ancora, in Reparto Neurologico, dopo una vivida descrizione delle “marionette manovrate da camici bianchi”, subentra il pensiero della gioia persa, e tutto si fa vivido, teso e tagliente
Non è per me il sorriso
della bimba che insegue farfalle
su per i fianchi dorati
delle colline d’agosto.
La sera indugia
con sangue e respiro di luna
nelle vene profondissime
dei miei occhi,
mi affonda nel cuore
le ombre aguzze dei monti
come denti avvelenati
di serpe in amore.
Una esperienza rilevante per Bonazzi è quella religiosa, che – successivamente a varie brevi raccolte poetiche, il cui meglio è condensato nel volume L’Ergastolo Azzurro – lo porterà a scrivere il volume Quel giorno di uve rosse, silloge poetica di matrice cristiana.
Anche qui l’ispirazione è notevole, come in Ci ha tradito il vento.
Ci ha tradito il vento
che decora di muschio le pietre
e sottomette gli alberi
al dominio delle stagioni.
Sembra tutto concluso
ora che all’incenso manca
la scintilla, il fuoco,
le braccia disposte
a profumare il giorno.
Nessun’altra fede resta
alla materia grezza di anime
in penosa allegria.
Ma dove, dov’è rimasta
la Parola del Salmo
che invogliava
a sollevare lo sguardo
al cielo troppo nudo?
Tutto piano piano si fa dolore.
Ma non è ancora buio:
lungo tema d’amore,
milioni di morti allineati
si fanno linfa dentro la terra
e si affacciano i bucaneve
dalla fanghiglia dei rospi
e mattini di luce
chiamano in volo verso il sole
uccelli stanchi di palude.
La silloge troverà inoltre un allestimento musicale in stile progressive-rock nel 1976, con l’LP (oggi rarissimo e quotato fino ai 500 euro) intitolato appunto Quel Giorno di Uve Rosse. L’intero album, che ai testi presenta l’esatta trasposizione delle poesie di Bonazzi, è ascoltabile qui:
Oltre alla produzione poetica, Bonazzi scrisse anche Squalificati a vita, un doloroso documento in prosa in cui denuncia i soprusi che avvenivano all’epoca nelle carceri italiane, specificamente nel manicomio giudiziario in cui trascorse 68 giorni legato a un letto, senza ricevere cure.
Un occhio vigile e prezioso, il suo, che si spera possa trovare nuova luce e riabilitazione, assieme ai suoi versi ancora oggi vivi e pulsanti: un esempio di stile elegante, malinconico e “dolorosamente fantasioso” tra i migliori offerti dalla poesia italiana del Novecento.
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Mai sentito nemmeno per sbaglio ma mi documento… Grazie
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Grazie per averlo segnalato. Non lo conoscevo. Ma rimango dell’idea che coltivo da tempo che il meglio non è quello che trovi in edicola o nella Top Ten della Lettura che ora ho davanti agli occhi
Eletta
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Non lo conoscevo. Sono poesie che colpiscono, indubbiamente. E sapere che nascono da un’esperienza difficile, anzi molto dolorosa, ti obbliga quasi a un rispettoso silenzio. Grazie per l’articolo, lo considero prezioso, sia per i versi difficilmente reperibili che per i tuoi commenti agli stessi.
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Grazie a te!
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non lo conoscevo. credo… anche se “ci ha tradito il vento” non saprei dirlo, ma mi dà un senso di conoscenza.
una condivisione di cui non si può che ringraziarti
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Io l’ho scoperto a ritroso e per puro caso: essendo amante di musica del passato, mi ero imbattuto in questo disco del 1976, e avevo trovato bellissimi i testi. Ma per anni non avevo mai capito chi fosse questo Alfredo Bonazzi, o meglio, era solo un nome tra tanti (poteva essere uno dei cantanti, o un collaboratore). Poi, un giorno ho approfondito e ho scoperto la sua storia e la sua produzione poetica…quindi se non fosse per la mia passione musicale, sarei anch’io completamente all’oscuro. Tra l’altro mi restano ancora misteriose molte cose, giacché il volume acquistato era una sorta di “Best of” da altre sue raccolte, nessuna delle quali risulta indicizzata online né rintracciabile neanche nell’usato. Misteri…
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le opere che tu menzioni sono, però, reperibili attraversi i fondi bibliotecari
questo mi risulta a una rapida ricerca
non so se ti riferisci ad altre raccolte e altri scritti
comunque è interessante ed è un bel ricercare, si…
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Sì, quelle sono tutte reperibili! Mi riferisco all’impaginazione de L’Ergastolo Azzurro, che presenta sostanzialmente due libri in uno. Il primo libro è Il Ragazzo di Atripalda, 221 pagine di biografia (partendo dal delitto). Poi, terminata questa prima parte, inizia la seconda, che è la vera e propria raccolta poetica L’Ergastolo Azzurro, a sua volta contenente liriche tratte dalle raccolte: “Radici di Sbarre”, “Qui non ci sono nuvole”, “Cordone Ombelicale” etc…sono queste le raccolte irreperibili a cui mi riferivo
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ah, ecco! E questi titoli, indubbiamente, attirano
chissà che per qualche strano percorso non sia possibile ritrovarle…
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Ti ringrazio per averlo portato alla nostra attenzione!
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Non lo conosco, una vita difficile, una scrittura intensa, molto attuale.
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Molto interessante!
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Credo che la vita di quest’uomo meriti un film 😀
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Approfondirò sicuramente. Peraltro c’è un piccolo particolare che ci accomuna e questo lo rende ancora più interessante ai miei occhi. Complimenti, sono tutti articoli che destano curiosità. 🙂
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