Alan Sorrenti – Sulla Cima del Mondo (1974)

La figura di Alan Sorrenti, madre gallese e padre napoletano, resterà per me sempre un mistero. Difficile pensare che quello che a fine anni ’70 diventò il “figlio delle stelle”, fino a pochi anni prima – barba e capelli lunghi, eskimo e il mistero di un alieno spuntato dal nulla – era il fiore all’occhiello della musica italiana, messo sotto contratto – già al suo esordio discografico nel 1972! – dalla Harvest (storica etichetta internazionale) e portato in tour assieme ai Pink Floyd. Nella prima metà dei ’70, infatti, Alan si ispirava a Tim Buckley e Peter Hammill, forgiando brani lunghi anche 20 minuti, fatti di incredibili escursioni vocali e saliscendi emotivi come mai si erano sentiti in Italia. Era un autore di razza, poi la “svolta” musicale ‘dance’ di fine anni ’70 che lo ha letteralmente trasformato rendendolo irriconoscibile, se non nel timbro vocale.
Sulla Cima del Mondo è tratta dal terzo album di Alan, l’ultimo degno di nota prima dell’inizio della svolta. Meno sperimentale di quanto proposto nei primi due straordinari album, oltre che un buon compromesso tra le audaci sperimentazioni dei suoi primi album e un approccio più diretto, è una grande canzone che mantiene l’approccio insolito e originale alla voce (punte di semi-parlato qui e là), con ancora tracce di quell’uso strumentale delle corde vocali che portò la critica musicale dell’epoca a scrivere di lui:”quest’uomo ha ingoiato un sintetizzatore”.

Sali un giorno su in terrazza
per sentirti un po’ più in alto
e hai visto la tua città
come un nido di formiche

Ma che cosa, che cosa tu vuoi?
Io non voglio più soffrire
no non voglio più soffrire

Hai provato a stare solo
e ti sei accorto che sei povero
e sei diventato un clown
per giocare con il mondo

Ma che cosa, che cosa tu vuoi?
Io non voglio più soffrire
no non voglio più soffrire

A due passi dal tuo treno
non puoi più tornare indietro
tu stai inseguendo il tempo
perché vuoi tutto in un momento
e tu vivrai piangendo
sulla cima del mondo

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